Nel Genesi-4 della Bibbia, che è anche un libro di metafore, l’autore, Mosè, ci descrive la storia di due fratelli, Abele, pastore di greggi e Caino, agricoltore, che offrono a Dio i frutti delle loro fatiche, che Creatore riceve, però privilegiando con gradimento quelli di Abele e meno quelli di Caino, molto probabilmente perché Abele offriva gli agnelli migliori, mentre Caino non si dimostrava egualmente generoso. Caino, il maggiore, non potendo riversare su Dio la sua irritazione, se la prese con il fratello e lo uccise, ma Dio lo preservò dalla vendetta degli altri uomini e Caino divenne costruttore di una città.

Il racconto ha offerto nei secoli a biblisti, filologi e teologi terreno di analisi  per mettere in luce significati reconditi e simbolici della descrizione biblica. Ma sarebbe riduttivo e persino sciocco pensare che Dio intendesse preferire la pastorizia all’agricoltura. Dio non gioca all’economista, non fa il regolatore di settori di attività, che sono scelte esclusivamente umane. Però, ciò che il biblista intende trasmettere è un messaggio, che va al di là delle singole vicende familiari, cioè: Caino costruì una città. Nel disegno non sempre perscrutabile della Provvidenza, anche un fratricida può essere capace di atti positivi. Ma perché proprio una città? Per il popolo seminomade di Israele non sarebbe stato più coerente costruire un grande ovile? L’ovile è una visione autarchica. Se tutti sono pastori non nasce lo scambio economico. Che cosa scambia il pastore A con il pastore B? Una pecora in cambio di un’altra pecora? Per un pluralismo di attività ci vuole un’organizzazione sociale del lavoro e ciò è pensabile solo fuori dall’ovile: in una città. Questo spiega forse perché Dio preserva Caino dalla vendetta degli altri uomini: perché sia costruttore di una città e iniziatore di una società organizzata secondo attività socio-economiche. Ciò chiarisce anche il detto che siamo figli di Caino, non unico vivente dopo Adamo ed Eva, ma operante in un consorzio umano già preesistente o coesistente. Se Caino fosse stato unico, da chi avrebbe potuto temere la vendetta da cui Dio lo protesse? Ma Caino resta il prototipo di un rapporto fraterno, che sbocca nell’assassinio e che avrà un seguito illustre nel mito della fondazione di Roma. Romolo uccide il fratello Remo e costruisce Roma. Si può dubitare che i romani conoscessero la Bibbia e che si inventassero la vicenda dei due uomini-lupo in autonomia. Ma è significativo che lo sbocco sia eguale.

La Bibbia si rivela anche su questo fatto un libro di significati, che vanno oltre la letteralità delle sue espressioni e i pessimisti hanno buon gioco a ritenere che la società nasce perché homo [è] homini lupus,  come sosterrà Hobbes secoli dopo per spiegare la venuta del Leviatano, riprendendo un detto nell’Asinara di Plauto.

 Ma si potrebbe sviluppare anche un diversa serie di considerazioni. Chi vive nell’ovile o nei pascoli dove lo spazio sembra non avere confini, dominato dalla luce e dai soli rumori prodotti dalla natura e dei campanacci che ne fanno parte non teme la solitudine, appagato dalla libertà e, poiché la libertà ha un prezzo, il pastore si rivela alla fine un coraggioso. Caino non lo è altrettanto e sceglie il consorzio umano, cioè la città, che però esige regole e limitazioni della libertà individuale. Da qui nascono l’auctoritas  e la tentazione e l’esigenza del potere. Caino teme la solitudine, costruisce la città e, in quanto fondatore, rivendica il potere. Così accade con la fondazione di Roma: Romolo intendeva non tanto fondare Roma, ma una società di cui porsi a capo. Infatti, per essere un capo bisogna avere a disposizione una società, cioè un aggregato di individui, e, se non c’è, bisogna crearla.

La società è nata dall’assassinio, che è mancanza di coraggio, altro che tesi aristotelica che l’uomo è un animale socievole. Il tuttologo dell’antichità non aveva studiato adeguatamente l’uomo pur avendo come esempio l’allievo Alessandro Magno. Senza nulla togliere al valore indiscutibile del grande filosofo, in alcuni aspetti Aristotele era un superficiale, come dimostra il fatto che, essendo un naturalista, sosteneva che le donne hanno meno denti degli uomini: imperdonabile per uno che fu sposato due volte e probabilmente fu un frequentatore di alcove extraconiugali.

Quindi, se si accantona l’ottimistica tesi aristotelica e soprattutto l’autorevolezza assoluta dell’ipse dixit attribuitagli per migliaia d’anni dai suoi estimatori, il quadro realistico della stirpe di Caino è tutt’altro che esaltante, con il che non è lecito immaginare una società fondata da Abele, perché la storia non si fa coi se. La società è quella che è a prescindere dal suo fondatore. Ciò potrebbe anche spiegare la necessità di una redenzione realizzata dal Cristo.

Quanto poi al costruttore di città: un Caino vale l’altro.