Questo lavoro è stato composto in collaborazione tra Pietro e Giulia Bonazza.

Si racconta che l’economista dell’Università della South Carolina Arthur Laffer nel 1980 era commensale a una cena elettorale in un ristorante, presente Ronald Reagan, che poi diventerà presidente degli Stati Uniti. Laffer avviò una discussione sugli effetti delle imposte e l’andamento del gettito al crescere della pressione fiscale, sostenendo che oltre un certo limite di pressione si ha una riduzione del gettito e non un incremento e per meglio spiegare la sua tesi disegnò su un tovagliolo una curva, che aveva un andamento a campana, come la curva gaussiana.

Graficamente:

Sull’asse delle ascisse sono rappresentate con “t” le aliquote di imposta in ordine crescente. Sull’asse delle ordinate è rappresentato con “T” l’andamento del gettito, che è massimo in corrispondeza dell’aliquota t*. In questa rappresentazione grafica è ipotizzata una efficienza normale della pubblica amministrazione, talché il contribuente non percepisce l’esistenza di imposte occulte.

Non c’è nulla di stupefacente nell’intuizione che oltre un punto critico di pressione fiscale il gettito possa diminuire per le reazioni dei contribuenti, che possono attivare decisioni di elusione e di evasione, né, dopo la teorizzazione del grande matematico Gauss, può stupire una rappresentazione grafica a campana ormai entrata nell’uso comune e nemmeno può essere ritenuta particolarmente geniale la sua applicazione al mondo delle imposte. Però, bisogna riconoscere a Laffer il merito di aver sensibilizzato la percezione di un fenomeno che non è spiegabile solo con ricorso alla psicologia sociale e che, nella storia, non si è sempre limitato a incentivare l’evasione, reazione comprensibile a certi eccessi, ma che è arrivato alla soppressione fisica del principale responsabile o ritenuto tale, in genere un ministro delle finanza, come accadde a Milano nel 1814, dove il ministro Giuseppe Prina fu linciato dalla folla inferocita.

Il fenomeno, illustrato da Laffer nella sua famosa curva, porta in evidenza due aspetti:

1)      quello prettamente economico e che prescinde da reazioni psicosociali eclatanti e da piazza o barricata. Anzi, proprio perché i contribuenti non reagiscono con l’evasione e si comportano con lealtà e senso civico nei confronti dello stato, un aumento della pressione fiscale, non compensato da ritorni diretti in servizi sociali o con aumento del Pil reale, ma causa di sperpero in spese improduttive, può determinare una riduzione del gettito stesso. Si tratta di condurre una specie di analisi costi-benefici o di paragone tra la miglior capacità dei contribuenti nel produrre ricchezza nuova (reddito) e la contraria capacità dell’ente impositore di distruggere ricchezza idonea a produrne di nuova. Alla fine l’inaridimento della fonte che può dare nuova ricchezza netta non può che provocare una contrazione della base imponibile a danno dello stesso ente impositore. Ecco, allora, che la curva di Laffer, dopo aver toccato l’apice, non può che scendere verso il basso e segnare un declino del gettito stesso. Il problema più complesso è la determinazione oggettiva, in termini di valore, del punto critico apicale. Il fenomeno può essere descritto anche per analogia e come provocazione intellettuale alla legge che i fisici chiamano di Boyle-Mariotte e afferma che la pressione è inversamente proporzionale al volume;

2)      l’altro, metodologico e che si traduce nella domanda: che cosa dobbiamo mettere nel contenitore denominato “pressione fiscale”? Ora, è evidente che vi sono quantità economiche, come le basi imponibili, le aliquote, ecc., ma, al crescere della dimensione della spesa pubblica e della burocrazia, autoreferenziale, assumono crescente importanza almeno altre due componenti, non traducibili in termini quantitativi, ma molto influenti, perché l’uomo, come insegna Aristotele, è un animale politico:

a)      le angherie delle norme di legge. Insegna Tacito: « corruptissima re publica plurimae leges ». Quando in un paese come l’Italia vagano per l’ordinamento più di 200.000 leggi, a cui si aggiungono regolamenti, circolari, leggi regionali e chi più ne ha metta, è riduttivo parlare di “lacci e lacciuoli”, perché la realtà è più drammatica: è l’intero sistema paese che è ingessato e imbastigliato e le energie migliori finiscono incatenate e impossibilitate a esprimere tutte le loro potenzialità. Inoltre, il fenomeno continua ad aumentare in misura esponenziale e stimola riflessioni sull’auspicabilità dello “stato minimo” di Robert Nozick, se non nella sua espressione limite, almeno come freno politico alla furia nomotetica in corso;

b)    i rapporti del contribuente con l’Amministrazione finanziaria, la cui arroganza è crescente in diretta proporzionalità alla crescita della dimensione della burocrazia. Il contribuente onesto sa che non troverà giusta comprensione davanti a diritti sacrosanti sanciti da norme e aiuto nel correggere meri errori materiali, causati dalle crescenti difficoltà del sistema e dalla complessità degli adempimenti imposti. Invece, sarà costretto a sentire con voce sanzionatoria una risposta del tipo: “se sbagli a segnare una crocetta su un quadratino piuttosto di un altro” la sanzione che ti aspetta inesorabile è di euro tot”. Ebbene, questo cittadino vede “al di là del bancone” un nemico, pronto a trincerarsi dietro impossibilità di aiuto per la rigidità di un sistema tecnologicamente autogestito dai computer; il che è talvolta vero, più spesso è falso pretesto. Tutto questo, che da eccezione diventa ormai regola, rompe il rapporto tra cittadino e stato, allontana il singolo dalle istituzioni, che vede come un moloch, come il nemico che ti può rovinare la vita, come un bombardamento in periodo di guerra. In termini economici è come se, aggiungendo  quantitativamente questi costi sociali, che il contribuente percepisce aggiunti al prelievo fiscale diretto, sulla curva di Laffer il punto A (posizione del contribuente in condizioni normali) si sposasse verso destra (a est) al punto B  (posizione del contribuente in condizioni di inefficienza) come a dire, con altre parole, che l’inizio della discesa della curva, o inclinazione negativa della stessa, avverrebbe in corrispondenza di aliquote fiscali nominali superiori, perché il contribuente le integra con i costi sociali prima denunciati e che mette in conto nella scelta dei suoi comportamenti. L’inclinazione della curva potrebbe esprimere il grado di inefficienza/corruzione dell’Amministrazione pubblica.

Graficamente:

PRIMA REAZIONE DEL CONTRIBUENTE: percezione dell’aliquota occulta. Spostamento da t* a t3

Si potrebbe anche sintetizzare il problema in questi termini: esiste l’imposta nominale, costituita dal prelievo coatto di ricchezza privata e quantificabile in termini monetari; ma il contribuente ne percepisce una più alta, a cui non riesce a dare una espressione quantitativa, ma che realmente sa di subire. La differenza tra l’imposta nominale e quella percepita possiamo anche chiamarla “imposta occulta”. È un fenomeno diffuso in molti scenari dell’economia e della politica economica: ragionare in termini solo nominali è ingannevole persino per chi è autore dell’inganno. Il cittadino, che non è poi così sciocco come i governanti si illudono che sia, ragiona in termini reali e su questi regola le sue scelte politiche elettorali e le sue reazioni allo strapotere dello stato moderno, più tiranno di certi regimi dittatoriali.

c) la reazione del contribuente. Il contribuente, dopo aver intuito che l’aliquota effettiva totale non è più t* ma t3, manifesta la propria reazione manovrando riduzioni di base imponibile al fine di contrastare, sapendo di doverla comunque subire, l’imposizione occulta. L’effetto conclusivo è una riduzione del gettito per l’ente impositore, il quale non potrà accorgersi della reazione del contribuente se non a posteriori. Sul grafico sottostante il fenomeno appare nella posizione del punto B al quale corrisponde la riduzione del gettito da Tmax a T1.

Graficamente:

SECONDA REAZIONE DEL CONTRIBUENTE: riduzione dell’aggravio fiscale nominale. Spostamento da Tmax a T1

A questo punto non interessa nemmeno se la curva di Laffer sia una espressione corretta o no. I fautori della spesa pubblica senza limiti dicono che quella curva sia un equivoco, ma non sanno portare dati statistici a dimostrazione della loro tesi, perché non possono esistere dati su ciò che non è stato (per esempio: sulla causa vera per cui la curva non sembra aver funzionato. Pertanto il giudizio finisce per essere più di natura politica che economica. Probabilmente, invece di concentrarci sulla curva dovremmo spostare l’attenzione sulla produttività (o improduttività) della spesa pubblica, alimentata con la pressione fiscale. Sappiamo, comunque, che esiste un Please effect, secondo cui all’aumento del gettito aumentano le spese correnti dello stato e questa apre il campo a tante considerazioni.

L’argomento ci porterebbe lontano e impegnerebbe interi volumi di scienza politica, scienza delle finanze, rapporti cittadino-stato , ma in sintesi si può ritenere che la curva di Laffer è come un palcoscenico ove si recita una commedia poco comica, ma la parte più importante è quella nascosta nel dietroscena, una specie di teatro nel teatro, gremito di un pubblico, che ride sempre meno, perché sa che dietro la maschera dell’attore si cela la vera natura del regista.